Essere un developer significa molto più di saper utilizzare linguaggi di programmazione HTML5, Javascript o Python. Significa saper ascoltare l’esigenza di un cliente o di un’azienda, ricostruire in astratto un problema, trovare una soluzione efficace e tradurla in righe e righe di codice.
Il prossimo corso di analista programmatore di Bologna nel 2023 ha l’obiettivo di creare nuovi sviluppatori full stack, cioè pronti a occuparsi della parte di front-end come di back –end. Il corso è davvero alla portata di tutti, perché si ripartirà dalle basi.
Il primo passo è abituarsi a pensare con il mindset corretto, spiega l’Ing. Massimo Nannini, docente del corso e fondatore di Gemax Consulting. Con il docente approfondiamo le caratteristiche e le opportunità del corso gratuito, grazie al co-finanziamento del Fondo Sociale Europeo + e della Regione Emilia-Romagna.
Il corso ha l’obiettivo di creare dei developer pronti per inserirsi nel mercato del lavoro attraverso le conoscenze fondamentali dei linguaggi di programmazione e la maturazione di una visione analitica. Prima ancora che scrivere codici occorre imparare a pensare da analista programmatore. Questo ci permetterà di creare soluzioni applicative e aprire le porte all’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di utilizzare gli algoritmi per l’analisi di dati.
Per la parte di front end si imparano HTML5, CSS, Javascript, node js per il back end e Python per costruire gli algoritmi per l’intelligenza artificiale. Trattandosi di un corso di 500 ore io e gli altri docenti abbiamo deciso di puntare su linguaggi utilizzati frequentemente per il web e immediatamente riutilizzabili come javascript. Abbiamo inoltre scelto Python perché è un linguaggio nato con l’IA: i partecipanti apprenderanno come usare gli algoritmi per intraprendere delle scelte sui dati.
Lo stage è un momento importantissimo perché si apprende davvero cosa significa fare questo mestiere. Si apprende e si lavora fianco a fianco con un professionista e ci si rende conto delle dinamiche aziendali, del rapporto con i colleghi, dei tempi da rispettare e della gestione del processo di lavoro. Inoltre ci si scontra con la realtà: è un’ottima occasione, ad esempio, per capire se si è più tagliati e propensi a dedicarsi al front-end piuttosto che al back-end. Sicuramente un momento formativo insostituibile.
Le aziende hanno una grande fame di persone preparate per le reali dinamiche del mondo del lavoro. è dunque naturale che quando va in stage una persona valida che riesce a farsi notare ed apprezzare, l’azienda tenga a mantenere un contatto. Questo è già successo nei precedenti corsi e si conferma una porta di accesso privilegiata al mondo del lavoro. Viceversa, le aziende hanno appreso che questo è un ottimo modo per prendere in considerazione futuri collaboratori, oltretutto già formate e valutate da noi docenti.
La riflessione è molto semplice. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita sempre più pervasiva di dispositivi elettronici: non ne esiste uno che non sia pilotato da un software. La digitalizzazione dei processi ci offre una mole sempre più grande di informazioni che non è più controllabile dagli uomini. Ecco perché occorre avvalersi dell’intelligenza artificiale e dei programmi che la usano. Al momento non ci sono abbastanza persone per gestire la digitalizzazione: oltre agli sviluppatori c’è una grande richiesta di operatori capaci di interfacciarsi con robot e con i dati.
Sì, perché partiremo dalla base teorica per sviluppare innanzitutto un approccio da programmatore, imparando ad astrarre un problema e poi procedere alla sua risoluzione tramite gli algoritmi. Un nuovo modo di pensare dove incide poco l’utilizzo pregresso della tecnologia. Proprio sugli smanettoni c’è un falso mito, non è necessariamente vero che siano avvantaggiati nell’apprendimento. Meglio dunque iniziare da zero, ma con una corretta cultura sulla programmazione, sul sistema operativo e sulle reti.